Tutto comincia dal gruppo di cittadini volontari dell’associazione Retakeche si occupa di diminuire il degrado, valorizzare la città di Milano e di farne un ambiente pulito e accogliente.

Retake ha voluto coinvolgere noi della 2^I della Scuola Media “Carlo Porta” nella pulizia dei muri “pasticciati” dell’edificio.

Dopo un incontro nel quale abbiamo ragionato sull’argomento vandalismo e sulla differenza tra un graffito e la Street Art, la nostra classe ha realizzato diversi cartelloni contenenti slogan e il motto di questa esperienza nuova istruttiva.

Il 19 aprile la 2I, gli insegnanti e la squadra di Retake, hanno intrapreso l’attivìtà, ridipingendo le pareti da imbrattamenti e scritte, impegnandosi ma divertendosi allo stesso tempo. Vogliamo anche ringraziare la mamma della nostra compagna Federica che ha collaborato e sta contribuendo tuttora alla realizzazione del video che ricorderà per sempre quella giornata. Ora noi studenti stiamo lavorando per creare piccole scene, che verranno poi da noi interpretate, a favore dell’educazione e del rispetto verso l’ambiente pubblico in generale.

Ho raccolto alcune opinioni dalla viva voce di chi ha partecipato all’iniziativa.

Pietro G. «Mi è piaciuta l’esperienza Retake anche perché ho imparato la differenza tra un Tag e la Street Art».

Chiara M. «Mi è piaciuto molto il progetto Retake; ho passato tre ore divertenti e il risultato è stato straordinario».

Giulia R. 2I

Cara scuola media, 

questi tre anni per me sono stati forse i più difficili fino a ora: gli anni dell’adolescenza si sa che sono i più difficili della nostra vita.

In questi tre anni, però, ho avuto l’occasione di conoscere molte persone all’interno della scuola, e tutti quanti mi hanno insegnato qualcosa di più o di meno importante.

Vorrei ringraziare innanzitutto i professori, che oltre ad averci insegnato argomenti inerenti alla propria materia ci hanno lasciato anche lezioni di vita e insegnamenti morali allo scopo di farci crescere, oltre che culturalmente attraverso l’istruzione, anche spiritualmente.

Vorrei ringraziare anche i miei compagni, che attraverso i litigi e i momenti passati insieme a divertirci mi hanno fatto capire che cosa siano la vera amicizia, la stima ed il rispetto.

Vorrei ringraziare anche la redazione di RePORTAr, in particolare le professoresse Alberione e Giorgetti, che mi hanno dato la possibilità di riflettere e scrivere su argomenti sui quali, altrimenti, non mi sarei soffermata.

Tutti i progetti che dalla prima media fino a ora abbiamo portato a termine, da quello del teatro a quello del cinema finito qualche settimana fa, passando attraverso quello di giornalismo (con l’uscita agli studi Sky e il concorso “Cronisti in classe”) hanno contribuito a riempire il nostro bagaglio culturale in tutti gli ambiti e ad ampliare l’orizzonte all’interno del quale ci muoviamo.

Ringrazio anche tutto il personale non docente che è sempre disponibile nei confronti di noi ragazzi. Infine, ringrazio il Preside che si mostra davanti a noi sempre sorridente anche quando non ci comportiamo bene e che permette che la nostra scuola sia così ricca e costruttiva. Di sicuro non dimenticherò questi tre anni e mi auguro di avere un’esperienza altrettanto positiva durante gli anni prossimi al liceo.

Con affetto,

Chiara R. 3F

Il teatro per la pace è un'attività organizzata da una compagnia teatrale chiamata Beresheet La Shalom, nata in Israele, per volontà di Angelica Calò Livnè nel kibbuz Sasa, in alta Galilea. L'obiettivo è educare alla pace i ragazzi che vivono in territori di guerra, attraverso l'arte e il teatro. La compagnia viaggia per il mondo per diffondere questo messaggio.

Sono venuti in Italia e in questi giorni abbiamo avuto l'occasione di conoscerli e assistere al loro spettacolo: Beresheet (In principio). Il 16 maggio abbiamo fatto un laboratorio in compagnia dei ragazzi israeliani, ci siamo divertiti con loro improvvisando alcune scene teatrali. In seguito, durante la cena, abbiamo potuto conversare con loro, scoprendo che non sono solo ebrei, ma anche cristiani, mussulmani, drusi e atei e, nonostante questo, sono tutti amici. Nello Stato d’Israele la situazione non è semplice: il Paese è colpito da due conflitti, uno tra Israeliani e Palestines,i e un altro tra le varie religioni che convivono insieme. Nonostante questo i ragazzi riescono ad andare d'accordo. 

Durante lo spettacolo i ragazzi inizialmente indossavano una maschera e una tunica bianca. Quando si sono tolti la tunica portavano completi di due colori differenti. A quel punto si sono schierati su due fronti opposti e si sono aggrediti fino a che si sono uniti e hanno tolto le maschere, mostrando chi erano veramente. Successivamente si sono presentati e hanno raccontato i loro sogni, abbiamo potuto porre loro delle domande e dei pensieri riguardo lo spettacolo. Questa iniziativa ci è piaciuta molto per questo abbiamo deciso di rincontrarci il giorno per conoscerci meglio. 

Tutti noi dovremmo prendere esempio da questi piccoli attori che già a questa età iniziano a realizzare un ideale molto importante: diffondere la pace e combattere contro la guerra. Il loro sogno è portare in giro per il mondo la parte d’Israele di cui non si parla: la parte pacifica.                                  Matilde B., Beatrice G., Sofia B., Gabriella C. 2H

Mi chiamo Hans.

Mi chiamo Joshef.

Io vivo in una villa con i miei genitori.

Io vivo in una baracca con altre 100 persone.

Mio papà è soldato.

Mio papà non è nessuno.

Mio papà è alto e bello.

Mio papà è solo un’ombra.

Io vado a scuola.

Io lavoro: porto i corpi senza vita nelle fosse comuni.

Io ho un sacco di giochi.

Io non ho più nemmeno la speranza.

Io ho un armadio pieno di vestiti. 

Io ho solo un pigiama a righe.

Io diventerò soldato.

Io diventerò polvere.

Ma la vera differenza?

Io sono ariano.

Io sono ebreo.

Mi chiamo Samir. 

Mi chiamo Mahmud. 

Sono ebreo. 

Sono mussulmano.

Noi possiamo superare il muro.

Noi non possiamo quasi mai superare il muro.

Io parlo ebraico

Io parlo arabo.

Abitiamo tutti e due sulla striscia di Gaza,

a 20 metri l’uno dall’altro,

ma non possiamo essere amici perché…

Io sono israeliano. 

Io sono palestinese.

 

 

 

 

 

 

 

Sofia B. 2H


Il 16 maggio la 2H e la 2A hanno incontrato Matteo Corradini, uno scrittore nato nel 1975. Laureato in Lingue Orientali con specializzazione in lingua ebraica, si occupa di didattica della Memoria. Fa parte del team di lavoro del Museo Nazionale dell'Ebraismo Italiano e della Shoah. Da noi è venuto a presentare il suo libro La repubblica delle farfalle. Si tratta di un romanzo storico ambientato a Terezìn in un campo di raccolta di ebrei situato in Repubblica Ceca. In particolare parla della vita nel campo di alcuni ragazzi che decidono di aggirare i nazisti e iniziare a scrivere un giornale: Vedem ovvero avanguardia che si occupava di eventi che accadevano abitualmente nel campo, delle sensazioni che provavano nello stare rinchiusi nel ghetto tra cui la forte nostalgia di casa. Alle loro parole si univano disegni, poesie e filastrocche dei loro compagni.

TerezIn si trova in Repubblica Ceca ed è stato un campo di raccolta di ebrei nella Seconda Guerra Mondiale. Vi furono rinchiuse 155mila persone. Solo 3807 tornarono a casa dai campi di Treblinka, Auschwitz-Birkenau e dagli altri lager dove furono deportate. Nel ghetto vissero circa 15mila tra bambini e ragazzi: alla fine della guerra ne erano rimasti in vita 142. A TerezIn c'era tutto: case, strade, musica, teatro. Peccato che non ci fosse la libertà.

 

Prima dell'incontro con Matteo Corradini noi di 2H avevamo già letto il libro e preparato un lavoro che è stato, in seguito, presentato allo scrittore. Abbiamo provato a immaginare di essere i redattori di Vedem. Ci siamo divisi in piccoli gruppi e abbiamo cercato di ridar vita agli articoli, alle poesie, alle filastrocche e ai disegni dei ragazzi del libro. Per attenerci alle loro condizioni abbiamo scritto tutto a mano e la prof. non ci ha corretto quasi niente. Inoltre abbiamo utilizzato del caffè per invecchiare le pagine e renderle verosimili. Durante l'incontro abbiamo potuto fargli delle domande:

Come mai ha deciso di scrivere questo romanzo?

Abitualmente gli ebrei che sono stati a Terezìn vengono ricordati per come sono morti, invece va ricordata la loro vita. Perciò nella Repubblica delle Farfalle ho voluto raccontare la vita di questi ragazzi in quanto la loro morte è uguale a quella di altri milioni di ebrei.

Ma perché ha deciso di ambientare il suo libro proprio a Terezìn?

Per rispondere a questa domanda lo scrittore ci ha spiegato che la prima volta cheandò a TerezIn era il 30 gennaio 2002. Suo fratello si era trasferito da poco a Praga per lavorare e aveva deciso di andarlo a trovare. Matteo si occupava già di Shoah, per questo motivo decise di andare a visitare TerezIn. Dopo esserci stato capì che quel luogo non era un semplice nome dentro tanti libri di storia e neanche una semplice indicazione geografica come tante milioni di altre. E da allora ha deciso di dedicarsi a questo luogo per rievocare la vita di chi ci è passato. A questo punto non potevamo non chiedergli se i ragazzi di cui parla nel libro siano esistiti veramente. La risposta non poteva che essere positiva.

Il libro ci è piaciuto molto, siamo riusciti (ovviamente per quanto possibile) a immedesimarci nei protagonisti del romanzo per i quali nutriamo una forte ammirazione. Questi ragazzi hanno avuto paura, hanno sopportato la fame ma nonostante questo hanno avuto coraggio, non abbandonando mai la speranza e continuando a scrivere il giornale di Vedem.

Beatrice G. 2H

Oh, Harriet! è l’ultimo libro scritto da Francesco d’Adamo, un autore italiano molto impegnato sul fronte del rispetto dei diritti umani e racconta la storia di Harriet Tubman che, nata schiava in uno stato del Sud degli Stati Uniti all’inizio del XIX secolo, decise di fuggire verso gli stati del Nord rischiando la vita, e giurando, una volta conquistata la libertà, di salvare più neri possibili dalla loro condizione di oppressione.

In pochi anni riuscì a trovare bianchi e neri desiderosi di aiutarla nella sua impresa e costituì la "Underground Railroad", una rete di itinerari segreti e luoghi sicuri, utilizzati dagli schiavi degli Stati Uniti per fuggire negli stati liberi del Nord. La stessa Harriet si espose in prima persona in numerose missioni di salvataggio e addirittura fu la prima donna a guidare una spedizione armata durante la guerra di secessione americana. «Io non ho mai lasciato indietro nessuno» fu il suo motto. 

Harriet, pur essendo una donna fragile e malata, si sentiva diventare grandissima quando combatteva per i diritti degli schiavi, affinché potessero essere considerati persone e non animali, come all’epoca succedeva. Aveva visto la sua mamma diventare così grande quando aveva difeso la vita di suo fratello e, come lei, voleva difendere i suoi simili e insegnare loro «a dire di no». Quando morì, la schiavitù era stata abolita, ma fu necessario arrivare all’epoca di Martin Luter King perché i neri americani vedessero riconosciuti pubblicamente i loro diritti di uomini liberi.

Purtroppo la schiavitù non è un retaggio del passato, ma una condizione che, secondo il Global Index Report del 2016 interessa più di 40milioni di persone al mondo, in modo particolare donne (il 71% del totale) e bambini (uno schiavo su quattro ha meno di 18 anni). Complessivamente, il 62% è vittima di lavori forzati, mentre il 38% è vittima di matrimoni imposti.

È storia di quest’anno che una ragazza italo-pakistana sia stata uccisa dalla sua stessa famiglia perché desiderava affermare la sua volontà di vivere secondo le abitudini occidentali ed è storia di questi giorni che un’altra giovane ragazza, anch’essa italo-pakistana, sia stata ingannata, costretta ad abortire e tenuta prigioniera dai suoi familiari. Solo il suo coraggio di chiedere aiuto alle amiche, nonostante la sua condizione di prigionia, e la determinazione delle ragazze italiane che hanno denunciato tutto alle autorità e all’opinione pubblica hanno potuto salvarla. 

Se è vero infatti che è giusto che i genitori si preoccupino per il futuro dei loro figli, è del tutto inaccettabile che l’apprensione diventi gelosia, minaccia, coercizione o abuso di potere. La lotta contro la schiavitù non è ancora terminata e tutti siamo chiamati, nel nostro piccolo, a parteciparvi senza avere paura. 

Chiara R. 3F

Fin dall’antichità le donne hanno sempre avuto meno diritti degli uomini. La parità tra uomo e donna, infatti, è un ideale relativamente recente ma non ancora del tutto riconosciuto in alcune parti del mondo. Molto spesso questo diritto è dichiarato sulla carta ma non nei fatti. Per esempio le donne, spesso, percepiscono uno stipendio più basso rispetto a un uomo che svolge lo stesso lavoro. Ci sono Paesi in cui le donne ancora non possiedono il diritto di voto. 

Il diritto di libertà di parola è un ideale fondamentale per avere una società che funziona. Molte donne coraggiose hanno lottato facendo molti sacrifici per ottenere questo diritto negato e il loro posto nella società. Grazie a queste battaglie oggi il mondo è migliore.

 

Molte di loro hanno lasciato un segno nella storia, alcune di queste sono:

Manal Al-Sharif «Uscite e guidate»

In Arabia Saudita alle donne è negato il diritto di guidare, un giorno Manal ha deciso di filmarsi mentre guidava per invogliare altre donne a farlo. Per aver pubblicato il video è finita in prigione. Ma grazie al suo esempio altre donne hanno iniziato a guidare. 

Claudia Ruggerini «Il desiderio di combattere per la libertà è più forte della paura»

Durante il fascismo Claudia si unì a un gruppo di partigiani che lottavano per far crollare la dittatura. Queste persone iniziarono a stampare un giornale clandestino; Claudia per quasi due anni consegnò i messaggi e i giornali da un luogo segreto all’altro. Quando la dittatura cadde, Claudia entrò negli uffici del Corriere della Sera e dopo tanti anni lo liberò dalla censura.

Eufrosina Cruz «Quando una donna decide di cambiare, tutto intorno a lei cambia»

Quando suo padre le disse che le donne erano capaci di fare solo tortillas e bambini, Eufrosina decise di dimostrargli il contrario: si diplomò in ragioneria e tornò a casa con un lavoro da insegnante. Un giorno decise di candidarsi alla carica di sindaco della sua città in Messico, ottenne molti voti, ma gli uomini della sua città annullarono il risultato delle elezioni. Qualche anno più tardi, Eufrosina divenne la prima donna indigena a essere eletta come presidente del Congresso di Stato.

Sojourner Truth «Guardate il mio braccio! Non sono forse una donna?»

Sojourner aveva una voce potente ma non poteva usarla, perché era una schiava. Un giorno, stanca di essere sottomessa, decide di scappare e si ritrova finalmente libera! Ora può usare la sua voce. Uno dei suoi figli era stato venduto a uno schiavista dell’Alabama, ma Sojourner sapeva che la vendita di schiavi oltre i confini dello stato era illegale. Fece quindi causa all’uomo e vinse. Anni dopo iniziò a viaggiare tenendo discorsi sul vero significato della schiavitù e sull’importanza della parità fra uomo e donna.

Rosa Parks «Vorrei essere ricordata come una persona che voleva essere libera… perché anche altri potessero essere liberi»

Rosa abitava in Alabama, luogo in cui le persone bianche e le persone nere non potevano frequentare gli stessi posti. Tutti utilizzavano gli stessi autobus che, però, erano divisi in due settori: davanti si sedevano i bianchi, dietro i neri. Rosa era cresciuta in questo mondo: bianco e nero.  Un giorno Rosa era su un autobus e non c’erano abbastanza posti per i bianchi, così l’autista le intimò di cedere il suo posto a un bianco. Rosa rispose NO. Passò una notte in prigione, ma questo atto di coraggio dimostrò alla gente che era possibile dire no all’ingiustizia. Dopo dieci anni grazie al coraggioso NO di Rosa, la segregazione fu bandita. 

Queste donne sono un esempio da seguire per tutti noi. Perché se oggi le donne hanno più libertà, è grazie al loro coraggio, alla loro determinazione e alla loro forza.

Noi dovremo continuare a combattere finché potremmo dire con certezza: «Noi siamo libere».

Sono state speranzose 

Sono state coraggiose.

Sono state determinate.

Ma soprattutto sono state se stesse.

Matilde B., Francesca A., Sofia B., Marta G. 2H

«Papà, mi racconti una storia?»

«Certo».

«C’erano una volta Bullo e Vittima che andavano entrambi alla scuola media. Ognuno aveva il proprio carattere, uno forte e sicuro di sé, l’altro debole e insicuro, o almeno così sembrava. Non si sono mai degnati di uno sguardo ma un giorno le loro strade si sono incrociate… Bullo era invidioso della felicità di Vittima, cosa che lui non aveva mai provato. Allora un giorno Bullo con il suo branco aveva rinchiuso Vittima nel bagno delle femmine. Vittima si era spaventato molto. Episodi come questi si ripetevano sempre più frequentemente e Vittima non sapeva più che fare.

Un giorno Bullo trovò una lettera anonima, la busta era bianca, per la curiosità la aprì… Rimase sbalordito da quelle parole, sembravano proprio indirizzate a lui:

 

«Ti chiamo B, perché sei uno come quei tanti, troppi, che fanno del male a delle persone solo perché, magari, apparentemente sono più sensibili, hanno delle diversità nell’aspetto fisico… 

Non ci sono giustificazioni per questo atteggiamento. Spesso è soltanto il riflesso della sensibilità del ragazzo/a che può essere alimentata da vari problemi di famiglia o per aver subito in passato, anch’esso/a degli atti di bullismo. 

Si parla tanto del bullismo, in televisione, nei giornali, nei social, e tu ne fai parte: sei il bullo. Ti credi forte, prepotente davanti alla vittima quando hai alle spalle il tuo gruppetto, ma non penso che da solo faresti tutto questo. Le vittime non sono solo spaventate ma sono come impotenti, non sono più esseri umani ma schiavi, schiavi che appartengono a voi, li picchiate, li disprezzate… “È possibile che non vi rendiate conto?!”

Vorrei che voi ragionaste, prima di agire, prima di dare uno schiaffo, prima di dire una parola di troppo, un insulto. 

Vi vorrei definire dei “vigliacchi” perché pensate che le vittime non hanno una dignità da rispettare, valgono meno di zero. 

Vi chiedo solo di smetterla di fare tutto questo male, perché gli schiaffi rimangono sulla pelle ma poi si cancellano col passare del tempo ma le parole rimangono impresse nel cuore, fanno più male le parole delle botte.

Voglio solo darvi un consiglio, ora andate dalla vostra vittima, abbracciatela, chiedetele scusa, fatevi perdonare e ricominciate! Ci sono ragazzini che si suicidano per le vostre prese in giro, mettetevi nei loro panni, evitate che perdano la vita per voi! Basta un “mi dispiace” o semplicemente “scusa per quello che ti ho fatto” per non venire più chiamati bullo – bulla!

E ora pensate, se la vittima foste voi, vi piacerebbe?»

 

«Papà, ma perché hai deciso di raccontarmi questa storia? Io avrei preferito una storia di cavalieri…»

«Perché questa farà di te una persona migliore. Continuiamo la storia…»

 

Anche Vittima aveva ricevuto una lettera anonima, una busta bianca e senza nome. La busta era davanti ai suoi occhi e la curiosità la spinse ad aprirla… 

 

«Ti chiamo V.

Parlo a te, a e tutte le altre povere vittime. So cosa succede, nelle scuole, so di te e di oltre mille casi. Non buttarti giù!

Lui, il bullo è forte fuori, hai ragione ad aver paura se lui continua a crescere. Ma sai perché succede? Perché le persone lo seguono, perché tu ti rinchiudi, perché tu non ne parli con nessuno. 

Pian piano lui si prende anche i tuoi amici. Sii più veloce di lui, parla prima agli amici, ricorda: già loro possono fare qualcosa. Poi fatti coraggio parla a un adulto di fiducia, può essere un prof, un genitore, un nonno… Chiunque, insieme risolverete tutto.

Tutti quelli che stanno in silenzio, ridono, per paura, indifferenza o chi sa cosa, sono con lui. Se parli e li fai ragionare vedrai ti aiuteranno. E se non succede subito non scoraggiarti, continua!

Ma tu lo sai quante persone famose da ragazzi erano bulleggiati, derisi, picchiati. Pensa la faccia dei loro bulli nel vederli in Tv o su Internet. Pensa quando il bullo ti vedrà a testa alta, superiore. Pensa alla sua espressione mentre esci vittorioso».

 

Spero con questa lettera di averti trasmesso il coraggio di andare a parlarne e di superare questo brutto momento. II bullo è un’armatura d’acciaio che cresce, fuori, è così perché dentro è debole, si sente trascurato. Anche se ciò non giustifica il suo assurdo e terribile comportamento, probabilmente si trova in una brutta situazione.

Con le lacrime agli occhi Vittima, dopo aver letto la lettera capì che doveva sfogarsi. Davanti a casa trovò Bullo, i loro sguardi si incrociarono e con fatica Bullo disse: scusa. 

E così vissero tutti felici e contenti.

 

«Papà ma questa è una storia vera?»

«Purtroppo sì, l’ho vissuta in prima persona, sono io l’anonimo scrittore».

Francesca A., Sofia B., Marta G. 2H

Noi ragazzi di rePORTAr abbiamo avuto il piacere di intervistare l'idolo di molti ragazzi e ragazze, il personaggio che è diventato una leggenda, nato dalla penna di J.K. Rowling.

 

Ciao Harry, è un grandissimo piacere averti qui con noi, come stai?

A dire il vero, non tanto bene. Ho ancora da finire i compiti di Trasfigurazione e credo di averne ancora per molto...

Non ti ruberemo tanto tempo. Allora, dicci, com'è stato ricevere la tua lettera per Hogwarts? Sospettavi già di essere un mago?

Sicuramente è stata un'esperienza incredibile. Ricordo ancora quella notte di fine luglio, quando Hagrid sfondò la porta per riuscire a entrare e mi annunciò... beh, è strano raccontarlo a dei babbani... ricordo specialmente il profumo della torta di compleanno che teneva tra le mani...

Inizialmente come ti sei sentito? Tutti sapevano di te, la tua cicatrice era già famosa, ma tu non ne sapevi ancora niente. Com'è stato?

All'inizio è stato difficile, ma con l'aiuto dei miei amici, Ron e Hermione, sono riuscito a superare queste prime difficoltà.

Perfetto. E come ti trovi con gli insegnanti?

Benissimo, sono più o meno tutti cordiali e accoglienti. Tranne il professor Piton, l'insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure. Prova quest'odio verso di me fin dal primo anno e non sono ancora riuscito a capire il perché. E poi, la Umbridge. Ha insegnato qui l'anno scorso e per un certo periodo ha anche preso il posto di Silente come preside di Hogwarts.

E con gli studenti?

Sono tutti simpatici, tranne ovviamente i Serpeverde. Draco Malfoy e il suo gruppo, proprio non li sopporto. Un Grifondoro e un Serpeverde non riusciranno mai ad andare d'accordo.

Avevi già un'idea della casa a cui avresti voluto appartenere?

Oh, ricordo solamente che al Cappello Parlante dissi: «Non Serpeverde, non Serpeverde...». Ovviamente fui felice quando mi mise in Grifondoro, anche se più tardi arrivai a pensare che il Cappello avesse sbagliato ad assegnarmi alla casa dei nobili di cuore.

Parliamo di argomenti più personali. Sport preferito?

Ovviamente il Quidditch, svolgo il ruolo di cercatore e attualmente sono il capitano della squadra. Ci stiamo allenando tanto, quest'anno vogliamo assolutamente vincere la Coppa.

Sono sicura che ce la farete. Grazie per averci permesso questa intervista, è stato un piacere.

Sofia L. 2A

Su Netflix è disponibile La casa de papel (ovvero La casa di carta) serie spagnola prodotta da Netflix, che ha conosciuto un grande successo e di cui da qualche settimana è arrivata la seconda stagione. 

La storia è incentrata su un gruppo di otto ladri, ognuno “specializzato” in mansioni diverse. Il gruppo è guidato dal “Professore”, la mente del colpo, che impone regole ben precise. Per esempio non possono avere relazioni, non possono ferire gli ostaggi o i poliziotti, né conoscere l’identità degli altri componenti. Questo è il motivo per cui si chiamano con nomi di città: Tokyo, Denver, Rio, Nairobi, Mosca, Berlino, Helsinki, Oslo.

Prima del colpo alla zecca di stato i ladri passano cinque mesi in una casa in campagna per prepararsi al colpo. Dopodiché si chiudono nella zecca spagnola per stampare soldi non rintracciabili, sicuri che la polizia non interverrà perché tra gli ostaggi c’è la figlia dell’ambasciatore inglese.

Il professore ha progettato il piano nei minimi dettagli, ma si innamora della poliziotta a capo dell’indagine e mette così a repentaglio un piano che sembrava perfetto. Non vogliamo rivelare altro, solo che in questa serie vedrete sparatorie, avventura, amori, tradimenti e colpi di scena, tutto con in sottofondo Bella ciao. La consigliamo a tutti gli amanti di serie e film di questo genere e la promuoviamo a pieni voti. Un bel 9!

Pietro G. 2I, Edoardo B. 2E

 

 

Congratulazioni a Filippo Giorgetti 1G

che, con il tema “Un maestro di vita”,

ha vinto il primo premio

del concorso letterario GALDUS

(categoria Prosa).

La motivazione:

«Il pregio di questo scritto sta nella sua struttura, per come è congegnata  e per come accompagna il lettore attraverso “tappe” codificate nella sequenza dei singoli capitoli che rispecchiano, in realtà, il percorso  emozionale vissuto dai protagonisti fino allo “happy ending”. La vivacità del racconto della vicenda trova piena espressione in uno stile quasi cinematografico che si avvale di immagini realistiche e della sapiente scelta della cornice storica che fa da sfondo agli eventi descritti. Tutto ciò ha permesso alla giuria di dare meritato riconoscimento alla capacità di immaginazione e di intreccio avvincente della narrazione  che il candidato ha saputo costruire con notevole perizia».